Cultura

C’era una volta Napoli

C’era una volta Napoli

Perché nel 2012 Saviano definì questo libro il prequel di Gomorra?
Alla sua uscita il testo ebbe un riscontro trasversale, incontrando il gusto della critica più diversa. Nei fatti sono sessant’anni di storia raccontati da un’artista che amava la realtà. Mi sono servito della voce narrante di Ferdinando Russo perché rappresenta una figura singolare: tra i fondatori de Il Mattino di Serao e Scarfoglio, fu poeta, drammaturgo e paroliere di canzoni tutt’ora tra i classici napoletani. Di lui mi interessa la fascinazione per mondi come quello della malavita, che frequentò e comprese pur condannandolo. Vivendo in prima persona il passaggio tra camorra antica e novecentesca, dal coltello alla pistola, dal coraggio alla viltà, Russo conosceva eventi che spesso non poteva raccontare da cronista, per non incorrere nella censura risorgimentale. Così riscorse allo stratagemma della fiction, usando poesia e romanzo.
Perché è così importante il periodo compreso tra il 1860 e gli anni ’20 del Novecento per Napoli?
Perché ha similitudini con l’attualità. Ma oggi manca una narrazione che ne comprenda tutti gli aspetti. Abbiamo il romanzo giallo di intrattenimento seriale e la narrazione ‘tremendista’ di Gomorra e simili, più di recente sostituita dall’epopea della Ferrante. Ma Russo era un giornalista che viveva con empatia i fatti della strada, la amava e sapeva vedere luce nel buio. Inventò due parole finite nel nostro vocabolario:
‘scugnizzi’ e ‘macchietta’.
Il libro ha richiesto molto lavoro di documentazione?
Nella ricerca mi sono posto un vincolo: tutto quello che avrei fatto raccontare a Russo doveva essergli davvero accaduto e le narrazioni sugli eroi perdenti che vennero da tutto il mondo a combattere per i Borbone trovarsi nella sua disponibilità di lettore. Ho studiato e ricostruito anche le sue vicende private, come si fa per la creazione di un personaggio.
E per quanto riguarda lo stile?
Ho letto tutto ciò che ha scritto, una produzione vastissima e variegata di cui ho cercato i rivoli anche in emeroteca. Tra tante attività fu anche direttore della rivista ‘Vela latina’, dove ospitò, intercettandoli per primo, i futuristi napoletani. Inoltre frequentava Gabriele D’Annunzio, negli anni in cui questi si cimentò con il dialetto scrivendo ‘A vucchella’, canzone rimasta nel repertorio tradizionale.
Il libro napoletano dei morti’ racconta un momento storico di passaggio: qual è il rapporto con ‘La pelle’ di Malaparte?
Premesso che le nottate napoletane sono cicliche, quello di Malaparte è un libro compiaciuto nel descrivere l’orrore, che si riannoda a quelli di chi oggi racconta la Napoli della malavita restituendo un’immagine solamente dark della città. Ma ripeto: dal punto di vista letterario, attualmente il racconto è incompleto. Mentre il cinema, con autori come Martone e Sorrentino, riesce ad avere un più ampio respiro anche attingendo ai libri, la narrativa di Napoli procede a settori: autofiction, giallo, storie d’amicizia al femminile.
Perché proporre adesso la riedizione di un romanzo del 2012?
Ho dato ascolto a quanti in questi anni hanno definito il mio libro ‘di culto’. Non torna in libreria con Mondadori perché oggi la grande editoria è in crisi di visione. Meglio una sigla storica di Napoli come Colonnese, che ha grande cura di un catalogo che vanta nomi come quello di Roberto De Simone. Da sempre certi i libri si immergono e poi riemergono; pensiamo al caso di ‘Malacqua’, che negli anni ’70 fu vittima dei pregiudizi politici legati alla testata per cui scriveva il suo autore, Nicola Pugliese. Sul romanzo cadde dapprima il silenzio, poi ricominciò a circolare in fotocopia restando clandestino per decenni, finché Pironti lo ripubblicò nel 2013 ed infine Bompiani gli diede ancora nuova vita nel 2022, con una mia introduzione. Cosa si aspetta per il suo testo?
So che non è un’opera facile, me l’ha detto l’altro giorno una libraia, perché purtroppo anche il lettore medio è in crisi, così come l’autore medio e lo stesso sistema editoriale. Ormai i cataloghi sembrano un casting del burlesque: prima del libro si guarda al personaggio e se questo non ricorre a qualche tatuaggio strano, vero o metaforico, per darsi una statura, rischia di venire deprezzato. Una volta contava solo il valore letterario: Ungaretti, Montale o Pugliese non avevano altro segno distintivo che quello di essere degli autori. Il mio romanzo racconta un’epoca in cui la gente non si piangeva addosso come la Finta Tartaruga de ‘Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie’, ma lo faceva per ragioni che davvero richiedevano lacrime. Racconta di eroi che combatterono per i Borbone pur sapendo che avevano già perso. Vuole rendere l’onore delle armi a un mondo che non c’è più.

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