AGI – Scarcerato per buona condotta, dopo aver scontato nemmeno nove mesi di reclusione invece dei cinque anni comminati dal tribunale perché riconosciuto colpevole di un reato gravissimo come l’alto tradimento. Il detenuto modello che aveva dimostrato rispetto delle regole, garbo e comportamento di assoluta moderazione era Adolf Hitler, che il 20 dicembre 1924 riacquistava la libertà e poteva così continuare a coltivare i suoi piani di dominio della Germania e poi del mondo. L’ex caporale di Braunau aveva scampato pure l’espulsione in Austria, grazie a un’estensiva interpretazione della legge sull’appartenenza alla nazione tedesca, di cui non aveva la cittadinanza pur avendo combattuto nella prima guerra mondiale in un reggimento di fanteria bavarese.
Sommario
La polizia apre il fuoco contro le SA e soffoca nel sangue la rivolta
Il 9 novembre 1923 Hitler aveva provato a emulare il suo mito Benito Mussolini, e aveva marciato su Monaco alla testa delle SA di Ernst Röhm e dei Freikorps per prendere il potere con la forza. Ma, contrariamente a quanto avvenuto in Italia, la polizia bavarese aveva aperto il fuoco contro i nazisti, incuranti che in prima fila vi fosse un eroe come il generale Erich Ludendorff. Il Putsch era stato represso nel sangue e lo stesso promotore si era salvato perché qualcuno l’aveva preso per le braccia e caricato su un’automobile. I morti erano stati venti, di cui quattro agenti della polizia a presidio del Ministero della difesa, sulla Odeonplatz. Tra i caduti nelle fila naziste, il cappellaio Andreas Bauriedl, il cui sangue aveva macchiato una bandiera che sarebbe diventata in seguito una reliquia, la Blutfahne al centro della liturgia pagana della croce uncinata, con musica e versi di Horst Wessel divenuti inno del partito. Hermann Goring, ferito all’inguine, da allora diventerà dipendente dalle droghe per lenire il dolore.
Il processo come tribuna per propagandare le idee del nazismo
L’eclatante fallimento del tentativo di colpo di stato sembrava aver assestato il colpo definitivo al movimento dei lavoratori tedeschi (DAP) fondato dal fabbro Anton Drexler e di cui nel 1921 si era impadronito l’austriaco con i baffi alla Charlot il quale proprio alla birreria monacense Bürgerbräukeller, inviato come informatore dell’esercito per spiare i nazisti, era passato dalla loro parte dopo essersi scoperto una straordinaria capacità oratoria e rifondando il partito come nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi (NSDAP). Ben altre qualità avrebbe rivelato in seguito, la prima delle quali quella messa in mostra durante il processo di fronte al Tribunale popolare.
Alle udienze Hitler, fin allora semisconosciuto su scala nazionale, aveva cambiato registro trasformando le deposizioni in occasione irripetibile per propagandare il suo credo politico e il mito di sé stesso. Talmente convincente da orientare l’opinione pubblica tedesca attraverso i resoconti dei cronisti di giudiziaria, che gli offrivano una platea molto più ampia della birreria, dei circoli e delle piazze. Sarà lui stesso a dire che dai 70-80.000 seguaci era arrivato di colpo a due milioni grazie alle udienze che trasformava in altrettanti comizi, temperando la naturale irruenza e i toni messianici, con lucido disegno strategico e la riconosciuta capacità affabulatoria.
Dal manifesto politico del “Mein Kampf” al potere assoluto
Al momento dell’arresto, avvenuto due giorni dopo il fallito colpo di stato in Baviera, si riteneva un uomo finito e altrettanto finito il partito che guidava cavalcando il malcontento per la repubblica di Weimar, il revanscismo, il mito del tradimento e della cospirazione ebraica che aveva portato all’umiliazione della sconfitta in guerra e della pace di Versailles: il Diktat, la coltellata alla schiena della Germania. Il disastro immediato, con la sua regia, era diventato il preludio a un trionfo. Già in aula aveva percepito una certa simpatia per quello che lui sosteneva e che rappresentava. La giuria popolare era dalla sua parte, i giudici apparivano tutt’altro che severi, persino il presidente Georg Neithardt che già gli aveva inflitto tre mesi di reclusione nel 1921 (ne aveva scontato solo uno).
Assolverlo non era proprio possibile, ma la condanna fu del tutto benevola. Venne rinchiuso nella prigione di Landsberg, detenuto ma con le regole della categoria dei privilegiati: cella singola e spaziosa, pure ben arredata, visite senza limitazioni, trattamento di favore, accondiscendenza delle guardie e della direzione. Era quasi un ospite in custodia protettiva (Festringshaft), più che un prigioniero. Qui maturò l’idea della rivincita e di dare forma organica alla sua linea politica, che detterà al delfino Rudolf Hess e a Emil Maurice, e che diventerà un libro destinato a essere un autentico bestseller: “Mein Kampf”, manifesto della sua battaglia messianica. Dopo un avvio stentato, vendette milioni di copie (12 fino al 1944), tradotto in tutte le lingue, e una volta preso il potere ne sarà regalata una a ogni coppia di sposi tedeschi. Ma o lo lessero in pochi o pochi lo presero sul serio, perché i suoi deliri di onnipotenza, violenza, germanesimo, razzismo e antiebraismo li metterà tutti in pratica.
Quei 264 giorni in carcere che hanno dato un’impronta alla storia
Liberato nel dicembre di cento anni fa, al vertice del potere – che per la storia è il Terzo Reich che nei suoi disegni doveva durare un millennio ma supererà di poco i dodici anni – Hitler ci arriverà per via legale nel gennaio del 1933, vincendo le elezioni. Alla morte del senescente presidente, il Maresciallo Paul von Hindenburg, riunirà nelle sue mani le cariche di cancelliere (capo del governo) e di capo dello stato, diventando il Fuhrer della Germania, aprendo subito i campi di concentramento, riarmandola, e appena Mussolini abbasserà la guardia sulla tutela dell’Austria porterà a compimento l’annessione della sua patria di cui non aveva più la cittadinanza.
Dopo il trattato di Versailles strapperà ogni patto firmato con chiunque, fino allo sbocco obbligato della guerra, preparata facendo del Reich una temibile potenza militare. Aveva preconizzato tutto a Landsberg. Se vi avesse passato davvero cinque anni come un normale detenuto, e non soli 264 giorni, forse la storia sarebbe stata diversa: senza la Shoah, senza la seconda guerra mondiale, senza sessanta milioni di morti e senza la fine dell’Europa al centro del mondo. Forse. Se per lui, stando alle sue parole, fu questo “il più grande colpo di fortuna della vita”, per l’umanità è stata una tragedia assoluta.
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