AGI – Le più colpite e prese di mira, in Italia, sono le spiagge della Sardegna. Quelle di Alghero, Stintino, Cala Luna, Costa Smeralda, dove la sabbia è più fine, colorata e pregiata.
Furti, furti di sabbia. Da poche manciate a qualche chilo, anche 50. Come un semplice souvenir. Che poi viene regolarmente sequestrata all’aeroporto, individuata nelle valigie. Con conseguenti sanzioni amministrative ai fedifraghi possessori, come previsto dall’art. 40, comma 2, della legge regionale 16/2017, il cui importo varia da un minimo di 500 euro a un massimo di 3.000. Nel solo 2008, nei depositi dell’aeroporto di Olbia sono state trattenute ben 10 tonnellate di sabbia da spiaggia, sequestrate agli imbarchi, conchiglie e pezzi di roccia incluse.
Sommario
I mille impieghi della sabbia
“Ogni granello di sabbia rubato è un pezzo del nostro futuro che se ne va”, si dice. La sabbia è infatti la risorsa naturale più consumata al mondo dopo l’acqua. Ampiamente utilizzata in edilizia, negli ultimi anni ha visto aumentare notevolmente i suoi consumi. La sabbia si trova ovunque, spesso senza che ce se ne accorga: nel vetro, nei cosmetici, nell’industria elettronica, ma soprattutto nel cemento. La crescita della popolazione e l’urbanizzazione dilagante, soprattutto nei paesi asiatici e africani, stanno portando a un aumento dei suoi consumi. Che, in vent’anni, vanno moltiplicati per tre. Con impatti sull’ambiente devastanti. Così come sulle popolazioni locali. Tanto che c’è da chiedersi: è da temere una scomparsa della sabbia?
Ma i furti non sono solo in Italia, succede ovunque nel mondo. E spesso accade anche di peggio. Ad esempio, una giovane funzionaria pubblica che ha osato sfidare la potente ”mafia della sabbia” e che per questo è stata sospesa dal lavoro, è poi diventata un’eroina in India, Paese dove la corruzione è dilagante. In India, le mafie della sabbia, ad esempio, hanno potere, soldi, armi. I granelli di sabbia sono invece la ricchezza e allo stesso tempo anche la “maledizione” delle Maldive perché in nome dello sviluppo l’arcipelago sta aggravando la sua vulnerabilità.
Mentre in Groenlandia la sabbia è come un nuovo orizzonte, una nuova prospettiva “per poter diversificare la propria economia e prendere anche le distanze dalla Danimarca”; quanto alla Florida, essa è in continua lotta per la sopravvivenza delle proprie spiagge, stretta com’è tra le correnti e dagli uragani, da un lato, e la continua erosione per motivi edilizi dall’altro. Per questo, dev’esser continuamente rifornita della materia prima. Capo Verde è invece ostaggio di veri e propri saccheggiatori: lontane dalle edificanti cartoline turistiche, alcune spiagge dell’arcipelago sono oggi ridotte a vere e proprie cave. La capitale francese, Parigi, ha anche lei un suo insaziabile quanto inesauribile appetito di sabbia per alimentare quattro nuove linee della metropolitana, 68 stazioni e 12 mila ettari di uffici e nuove abitazioni.
I numeri
Cellulari, cosmetici, detersivi, vetro, carta, chip per computer, ma anche, e soprattutto, abitazioni, strade e lavori pubblici. Per quanto discreta possa essere, la sabbia interferisce in ogni minimo angolo e settore della nostra vita quotidiana. Uno studio pubblicato in primavera dalla rivista New Scientist, citato alcune settimane fa in un servizio da Le Monde, stima che la domanda globale “potrebbe crescere del 45% entro il 2060”.
Basando i loro calcoli sulle proiezioni demografiche e sul ritmo atteso di crescita economica, i ricercatori dell’Università di Leiden (Paesi Bassi) hanno concluso che il fabbisogno, nell’ordine di 3,2 miliardi di tonnellate l’anno nel 2020, potrebbe balzare a 4,6 miliardi di tonnellate l’anno nei prossimi quarant’anni, spinto in particolare dall’urbanizzazione sfrenata dei paesi asiatici e africani. L’Africa, invece, ospita la più grande distesa di sabbia del pianeta, il Sahara, che supera i 9 milioni di chilometri quadrati.
Ma i granelli della sabbia del deserto non sono sfruttabili, troppo tondi e troppo fini per la composizione del cemento, che necessita invece di granelli angolari a più dimensioni per poter garantire meglio la compattezza e solidità dell’impasto. È quindi solamente lungo le coste, negli alvei dei fiumi ma anche nei bacini che i “mercanti di sabbia” raccolgono il prezioso materiale.
La verità è che non si sa esattamente quanta sabbia si prelevi nel mondo. I dati da questo punto di vista sono discordanti, perché per esempio un servizio della rivista Focus del settembre 2017 faceva riferimento ad un rapporto dell’Unep, programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (“Sabbia più rara di quanto si pensi”), nel quale c’era scritto che nel 2012 sono stati usati circa 27 miliardi di tonnellate di sabbia per il solo comparto dell’edilizia e decine di milioni di tonnellate per altri usi, destinati ai mercati asiatici, europei e nord-americani, oltre a quantità imprecisabili non dichiarate nel mercato illegale. Un dato di gran lunga superiore a quello citato dai ricercatori dell’Università di Leiden, di cui s’è riferito più sopra, che parla di un fabbisogno di 3,2 miliardi di tonnellate l’anno nel 2020. Tant’è.
Ad ogni modo, il business legale della sabbia sarebbe stato stimato attorno ai 9 miliardi di dollari per il 2016 per i soli Stati Uniti, e ritenuto in crescita del 5% l’anno. Sempre secondo il servizio di Focus, i geologi definiscono sabbia “un materiale con granelli di diametro tra 1/16 di millimetro (0,06 mm) e 2 millimetri” mentre materiali più grandi o più piccoli “appartengono ad altre categorie” (ghiaie, limo). Tuttavia, la sabbia è così diffusa sulla superficie della Terra che “quasi tutti i popoli ne hanno fatto uso nelle costruzioni, come abrasivo e per centinaia di altri scopi pratici”. Viene addizionata alla malta, al calcestruzzo, ai prodotti strutturali di argilla, all’asfalto.
La sabbia come elemento di tensione politica tra i paesi
Ad ogni modo negli ultimi anni la richiesta di sabbia avrebbe superato quella dei combustibili fossili: è un mercato molto ricco ma che non riesce più a restare entro i confini della legalità. Questa massiccia estrazione, mediante scavo nelle cave o durante le operazioni di dragaggio, non risparmia più nessuna regione del pianeta e rappresenterebbe ormai l’85% dell’attività estrattiva. “La sabbia è coinvolta in oltre il 70% di tutto ciò che viene costruito nel mondo. Un settore particolarmente goloso: l’edilizia consuma quasi 200 tonnellate di inerti per costruire una casa unifamiliare, 3.000 tonnellate per costruire un ospedale. Nessuna rete stradale nemmeno senza il ricorso a questa miscela: ogni chilometro di asfalto inghiotte, ad esempio, 30.000 tonnellate”, si legge sempre nel servizio di Le Monda dei primi giorni di settembre.
Il punto è che la sabbia e la sua importazione per sostituire quella “esaurita” dalle coltivazioni intensive non fa notizia mentre però sorgono alcuni problemi: la “questione sabbia” è diventata un elemento di tensione politica tra Singapore e i Paesi vicini, come Cambogia, Malesia e Indonesia, perché stanno rallentando le esportazioni.
Il Vietnam ha invece preso atto del problema in modo ufficiale, tanto che Pham Van Bac, direttore del Dipartimento dei Materiali da Costruzione che fa capo al Ministro delle Infrastrutture, ha dichiarato che la “sabbia nazionale” non riesce più a sostenere la richiesta e che, in mancanza di alternative, dal 2020 non si potrà più costruire nulla che richieda la necessità di utilizzare sabbia.
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