Se da un lato la medicina combatte l’epidemia dalle corsie degli ospedali, dall’altra la scienza ha già avviato la ricerca su cosa è il coronavirus, come colpisce, in quali condizioni e, soprattutto, chi e perché. Uno dei dati che sta emergendo in maniera chiara è che gli uomini, a guardare i numeri finora riscontrati, sarebbero i più a rischio di morte.
La prima volta che il dato è stato analizzato è stato in Cina, dove purtroppo si è sviluppata una casistica tale da fare in modo che gli esperti cominciassero a buttare già qualche numero. Secondo la prima analisi, che prendeva in esame il primo focolaio, il tasso di mortalità degli uomini sarebbe decisamente più alto rispetto a quello delle donne: 2,8% contro 1,7%.
Le stesse percentuali si sono poi confermate in tutti gli altri luoghi dove è stata riscontrata presenza del covid-19. In Italia gli uomini rappresentano il 71% dei decessi da coronavirus, in Spagna i maschi deceduti sono praticamente il doppio. Numeri che hanno allarmato la comunità scientifica e che hanno messo in moto una ricerca di risposte plausibili.
“La risposta onesta è che nessuno di noi sa cosa sta causando la differenza”, ha affermato a The Guardian la professoressa Sarah Hawkes, direttrice del Centro UCL per il genere e la salute globale. Il virus, come ormai sappiamo bene, colpisce i polmoni quindi in Cina, essendoci un tasso di fumatori uomini decisamente più alto (solo il 2% delle donne fuma), si è subito giunti alla conclusione che la discriminante potesse essere quella.
Uno studio pubblicato il mese scorso sul New England Journal of Medicine sostiene questa teoria riportando i seguenti numeri: un mese fa i fumatori costituivano circa il 12% degli infetti con sintomi meno gravi e il 26% di quelli che sono finiti in terapia intensiva o sono morti. Sempre secondo la ricerca il fumo potrebbe anche essere semplicemente un metodo più facile e veloce per il virus di trasmettersi, i fumatori infatti portano spesso le mani alla bocca.
Ma sarebbe proprio l’Italia a smentire in qualche modo questa ipotesi: anche nel nostro paese i fumatori maschi sono decisamente in maggioranza rispetto alle donne, il 28% contro il 19%, ma non è una differenza di percentuale alta come in Cina. Eppure la maggioranza dei casi di decessi per coronavirus, esattamente come in Cina, si riguarda gli uomini. “La crescente mortalità negli uomini non è valida solo in Cina, Italia e Spagna. Lo stiamo vedendo in paesi e culture molto diverse – ha affermato Sabra Klein, professore alla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health – Quando osservo i dati mi viene da pensare che ci deve essere qualcosa di universale che contribuisce a questo. Non credo che il fumo sia il fattore principale”.
Ricerche precedenti hanno rivelato che gli uomini hanno una risposta immunitaria antivirale innata inferiore a una serie di infezioni tra cui l’epatite C e l’HIV e gli studi sui topi suggeriscono che ciò può essere vero anche per il coronavirus. “Il loro sistema immunitario – conclude la professoressa Klein – potrebbe non avviare una risposta appropriata quando il virus attacca”.
Anche gli ormoni possono svolgere un ruolo: gli estrogeni aumentano le risposte antivirali delle cellule immunitarie e molti geni che regolano il sistema immunitario sono codificati sul cromosoma X (gli uomini ne hanno uno e le donne due) ed è quindi possibile che alcuni geni coinvolti nella risposta immunitaria siano più attivi nelle donne che negli uomini.
Ci sono poi diversi studi che analizzando la differenza comportamentale tra uomini e donne, studi secondo i quali gli uomini si lavano meno le mani, usano meno il sapone, sono meno inclini ad affidarsi all’assistenza medica e molto invece ad ignorare i consigli riguardo la salute pubblica. Generalizzazioni, è ovvio, ma che comunque mettono gli uomini nell’occhio del mirino del virus.
Al momento comunque i dati disponibili non sono abbastanza, solo sei paesi su venti colpiti dal coronavirus hanno resi noti dati precisi in questo senso riguardo i propri morti, tra questi non ci sono Regno Unito e Stati Uniti.
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