È onirico il lungotevere, un deserto maestoso di alberi e nobili facciate, velato dalla vaporosa umidità notturna. Non c’è nemmeno il fantasma di un’auto. Non un’anima sui ponti, che uniscono il silenzio profondo delle rive. Vederlo così, da unico spettatore, è quasi un privilegio, riservato a chi, dovendo tornare a casa dal lavoro dopo mezzanotte, fa eccezione alla segregazione generale.
Un’estasi che spinge a rallentare per prolungare lo stordimento, e fa dimenticare le ragioni gravi per cui si produce questa magia senza testimoni. Poi sopraggiunge una volante della polizia, che riporta alla realtà con le sciabolate blu dei lampeggianti. L’agente abbassa il finestrino, con il sorriso paternalista ma inflessibile della guardia che ha pizzicato un goffo malandrino, e chiede: “Dove va a quest’ora?”.
L’incanto da notte felliniana svanisce nell’ottemperanza al Dpcm sull’emergenza coronavirus. Si spiega, si esibiscono i documenti, si dà giustificazione dello spostamento. No, nessuna passeggiata. È un giustificato “rientro presso il proprio domicilio”. L’agente è più che garbato, dà l’autorizzazione a proseguire, e all’augurio di buon lavoro risponde con l’augurio della buonanotte. La magia se ne è ormai andata, resta il deserto fino a casa. Quel controllo, pure legittimo e necessario, ha cambiato il paesaggio, ha acceso la consapevolezza che attraversare la città potrebbe essere un reato, se non ci fosse una ragione ad assolvere e legittimare.
Siamo in piena crisi pandemica, il governo rinnova le esortazioni al coraggio e alla responsabilità, gli italiani rispondono con una disciplina che smentisce certe facili caricature del nostro spirito nazionale, cantano sui balconi, espongono il tricolore. E accettano che la loro libertà sia compressa e limitata da un provvedimento amministrativo, un atto del governo sul quale il Parlamento, in quarantena come tutto il Paese, non si è espresso. C’è da sconfiggere un’infezione insidiosa, c’è da fermare un contagio che evoca sinistramente lo spettro di pestilenze antiche.
In ‘Sorvegliare e punire’, Foucault espone i crudi termini di un regolamento emanato nella Francia del XVII secolo per fronteggiare un’epidemia. “Prima di tutto una rigorosa divisione spaziale in settori: chiusura, beninteso, della città e del ‘territorio agricolo’ circostante, interdizione di uscirne sotto pena della vita, uccisione di tutti gli animali randagi; suddivisione della città in quartieri separati, dove viene istituito il potere di un intendente”.
E ancora: “L’ispezione funziona senza posa. Il controllo è ovunque all’erta: ‘Un considerevole corpo di milizia, comandato da buoni ufficiali e gente per bene’, corpi di guardia alle porte, al palazzo comunale ed in ogni quartiere, per rendere l’obbedienza della popolazione più pronta e l’autorità dei magistrati più assoluta”.Un’analogia tra l’Italia – l’Europa – di oggi e le misure decise allora da un monarca assoluto è eccessiva. Oggi la denuncia penale e la multa, nel ‘600, lontano eppure vicino, la sanzione estrema della pena capitale. Ma, a parte questo, la suggestione di una similitudine resta.
Fa riflettere, Foucault, forse ancora di più nelle sue considerazioni a proposito del Panopticon, pubblicato dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham nel 1791. In quel trattato, che ebbe poca fortuna essendo apparso due anni dopo la ventata egualitaria della Rivoluzione francese, Bentham immaginava la prigione perfetta: un edificio circolare, con al centro una torre per un unico guardiano, che da quella posizione sarebbe stato in grado di controllare ciascun detenuto senza che nessuno potesse sapere se, in quel momento, gli occhi del carceriere lo stessero fissando.
Foucault commenta: “La folla, massa compatta, luogo di molteplici scambi, individualità che si fondono, effetto collettivo, è abolita in favore di una collezione di individualità separate. Dal punto di vista del guardiano, essa viene sostituita da una molteplicità numerabile e controllabile; dal punto di vista dei detenuti, da una solitudine sequestrata e scrutata”. La sparizione della folla è il nefasto prodigio continentale prodotto dal coronavirus.
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