Sarà una giornata cruciale, quella di giovedì prossimo, per Veronica Panarello, la donna accusata di aver ucciso nel 2014 il figlioletto di 8 anni, Loris Stival. La prima sezione penale della Cassazione, il 21 novembre, è chiamata infatti a decidere se confermare o meno la condanna a 30 anni di reclusione inflitta all’imputata dalla Corte d’assise d’appello di Catania nell’estate dello scorso anno. Una pena pesante, disposta già in primo grado dal gup di Ragusa, contro la quale Veronica Panarello si è sempre battuta e continua a farlo con il ricorso depositato nei mesi scorsi al ‘Palazzaccio’ dalla sua difesa: dieci punti in cui si rileva “l’illogicità” della sentenza di secondo grado, a partire dalla ricostruzione del delitto.
I fatti risalgono al 29 novembre 2014, quando Veronica Panarello denunciò la scomparsa del figlio Loris a Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa: il cadavere del bambino venne ritrovato quello stesso pomeriggio, in un canalone del Vecchio Mulino. L’8 dicembre successivo, la donna venne sottoposta a fermo, convalidato 4 giorni dopo dal gip che dispose la custodia in carcere. Il processo per Veronica Panarello ha avuto inizio, con rito abbreviato, il 20 giugno 2016: parti civili sono Davide Stival, ex marito dell’imputata e papà di Loris, e i suoi genitori Pinuccia Aprile e Andrea Stival.
La prima sentenza risale al 17 ottobre dello stesso anno, con una condanna a 30 anni per omicidio e occultamento di cadavere pronunciata dal gup di Ragusa, confermata in secondo grado nel luglio 2018 a Catania: per la Corte d’assise d’appello, Panarello ha agito “scientemente e lucidamente, senza esitazioni di sorta, per sopprimere quella giovanissima vita da lei generata, ma ha altresì dimostrato l’assenza di qualsivoglia forma di resipiscenza subito dopo la commissione dell’orribile crimine, omettendo di attivarsi in qualche modo per salvare il figlio che era ancora in fase agonica, chiamando i soccorsi o invocando l’aiuto di altre persone a tal fine”.
La donna, scrivevano i giudici etnei nelle motivazioni della loro sentenza, “si è invece adoperata senza alcuna ‘pietas’ secondo il piano poco prima prestabilito per cercare di eliminare le tracce del delitto con l’occultamento del cadavere di Loris e addirittura simulando una violenza sessuale ai danni del bambino da parte di ignoti per depistare le indagini”.
Sono proprio queste conclusioni ad essere contestate nel ricorso in Cassazione, firmato dall’avvocato Francesco Villardita, difensore dell’imputata, tuttora reclusa nel carcere Le Vallette di Torino e per la quale il gup di Catania ha anche disposto recentemente il rinvio a giudizio per calunnia ai danni del suocero Andrea Stival, da lei chiamato in correità. Se i giudici della Suprema Corte confermeranno la sentenza d’appello, verrà scritta la parola ‘fine’ nel processo per la tragica morte del piccolo Loris; in caso contrario, se la Cassazione accoglierà i rilievi contenuti nel ricorso della donna, gli atti torneranno all’attenzione della Corte d’assise d’appello di Catania, per un nuovo processo.
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