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Antonio Scurati
Pieni di Mussolini, anzi stracolmi, gli scaffali di storia e di memorialistica. Vuoto, stranamente vuoto era rimasto quello della narrativa. Finché Antonio Scurati ha opzionato il primo grande spazio con il romanzo ‘M. il figlio del secolo’, oltre 800 pagine e cinque anni di faccia a faccia con Benito Mussolini che gli hanno procurato, dice, “qualche piccolo squilibrio secondo il medico di base” ma soprattutto un Premio Strega lambito già due volte, nel 2009 e nel 2014. Al Ninfeo di Villa Giulia s’è trattato per Bompiani, gruppo editoriale Giunti, più di un trionfo che di una vittoria: 228 voti contro i remoti 127 del secondo classificato della cinquina.
‘M. il figlio del secolo’ abbraccia il periodo fra il ’19 e il ’24. Il duce parla a piazza San Sepolcro, a Milano, la mattina del 23 marzo 1919 davanti “a cento persone scarse” ma l’Italia uscita dalla Grande Guerra è “alluvionata da undici milioni di cadaveri”.
Perché ha scelto Mussolini?
“Non sono di quelli che ne ha mai subìto il fascino, neanche da ragazzo”, spiega Scurati all’Agi. “Anzi, faccio forse parte dell’ultima generazione che s’è formata nell’antifascismo. Ma l’impellenza di raccontare Mussolini m’è scattata un giorno mentre lavoravo al libro su Leone Ginzburg, ‘Il tempo migliore della nostra vita’”.
Scelta improvvisa o meditata?
“Una folgorazione”.
Non è curiosa l’assenza di Mussolini nella produzione narrativa italiana?
“C’era una sorta di interdetto implicito dovuto alla pregiudiziale antifascista su cui si fonda la Repubblica italiana. Pregiudiziale a mio giudizio sacrosanta, ma che inibiva i romanzieri da fare di Mussolini e del fascismo materia narrativa”.
Dopo il suo libro, che è il primo di un’annunciata trilogia, non sarà più così?
“Oggi alcuni leader politici ammiccano a Mussolini, ne rievocano frasi e atteggiamenti, per cui raccontarlo in questa fase è più doveroso ancora per non ricaderci”.
Lei dice: bisogna rifondare l’antifascismo. C’è una riproposizione del fascismo?
“Tra cent’anni fa e oggi ci sono moltissime differenze, a cominciare dalla quotidianità della violenza che contrassegnò gli albori del fascismo. Però siamo davanti a una soglia epocale che è nuovamente quella: gli italiani, e gli europei, devono scegliere tra la speranza progressista nella democrazia, nel senso civico, nella crescita culturale e gli spettri della paura che vigono dall’altro lato, con le relative tentazioni di consegnarsi a forme di dispotismo autoritario, di cecità, di obbedienza. È un bivio come cent’anni fa”.
Sembra quasi che lei, cinque anni fa, presentisse gli eventi.
“Nessuno scrittore apre un cantiere così vasto per inseguire la cronaca. Talvolta accade però che il suo progetto letterario vada in risonanza con l’attualità. Lo diceva Céline”.
Malgrado il nazismo.
“Un uomo pessimo senz’altro ma grandissimo scrittore. Diceva che gli scrittori sono come cani da slitta siberiani: fiutano il crepaccio nella tormenta a cento metri di distanza”.
Mussolini cosa fiutò?
“Figlio di un fabbro di una sperduta cittadina delle Romagne, fiutò il suo tempo e usò due armi: il bastone degli squadristi e il suo giornale. Non aveva idee né sentimenti veri, ma li simulava entrambi. Le sue erano tattiche, opinioni, opportunismo. Un uomo dalle mille maschere. Quella degli inizi, cui poi sostituirà quella dello statista e del padre della patria negli anni del regime”.
Quanto serve un romanzo per capire la storia?
“Molto perché cattura un pubblico più ampio e perché il fascismo, a scuola, è generalmente studiato male. Sono contento che tanti studenti universitari, ma pure liceali, mi abbiano espresso gratitudine e si siano appassionati grazie al libro alla storia del fascismo. Essendo anche un docente, sono fautore dell’alleanza tra le arti del racconto e i metodi didattici”.
Fra tante minute, intime storie anche in cinquina allo Strega, lei ha scelto la Storia maiuscola. E ha stravinto.
“Non credo a gerarchie narrative assolute. Ci sono capolavori contemporanei che, come ha insegnato Virginia Woolf, ruotano su una stanza. Ma la mia idea letteraria è quella del romanzo erede di un’epica, che parli di cambiamenti profondi e del destino dei popoli. Come lettore mi piacciono le vicende collettive. Perciò mi piace scriverle”.
Non si è stancato di Mussolini?
“Anzi. Non vedo l’ora di continuare la mia trilogia”.
Ha accantonato qualcosa per questo?
“No”.
Quante volte il duce, in cinque anni, le è apparso in sogno magari a biasimarla?
“Mai. A occhi aperti, di giorno, forse sì. Perché la letteratura è sempre un po’ così…”
Una specie di seduta spiritica?
“È un parlare con i morti”.
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