Il medico, nell’esercizio di una attività diagnostica o terapeutica, può lecitamente compiere atti che incidono sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito un consenso esplicito e informato dello stesso o se sussistano i presupposti dello stato di necessità. Altrimenti il professionista deve immediatamente fermarsi in caso di dissenso del paziente.
È sulla base di questo principio che la terza sezione penale della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della procura generale di Torino, ha annullato con rinvio alla Corte di appello una sentenza di assoluzione dall’accusa di violenza sessuale di C.G., medico di Novara che era stato denunciato da tre donne che, a sorpresa e senza spiegazioni, erano state sessualmente “stimolate” dal ginecologo che “avrebbe agito con la sola consapevolezza e volontà di curarle, ritenendo che il loro consenso alla particolare manovra fosse implicito o, addirittura, non necessario perché l’atto era dovuto”.
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